lunedì 3 ottobre 2011

IL SOGNO DI ACHILLE



I due eroi ora siedono accanto al fuoco, ed Achille rivela a Diomede un sogno che ha avuto qualche notte prima. Ettore gli era  venuto in sogno per convincerlo che quella guerra non aveva più senso, preannunciandogli una seconda visita del padre Priamo. 

All’amico parlo e non al guerriero,
a chi  oltre l’usbergo vede il cuore.
Morfeo mi colse assorto nel pensiero
e in volo giunsi a un campo tutto in fiore.


Non c’era Troia, ma  città futura:
con forti  denti  fino al cielo erti,
alte ed invitte stavano le mura
ma  torri e spalti  erano deserti.


Nessuno era lassù, alcun d’attorno
alcun nemico e  niente mano tesa.                   
Eppure il sol brillava in pieno giorno,
e non  sembrò minaccia lì  in attesa.  

(Non si vedevano né nemici, nè amici)


(Non mi sentivo assolutamente in pericolo)
Di guardare alle  porte io ebbi l’estro,
ma  ristavano chiuse e su di esse
caro ad Apollo luminoso un astro
parea per sua natura che splendesse.


Io stavo privo d’armi e a nudo petto:
un albero tarchiato alle mie spalle
aveva strana chioma e buffo aspetto.
Di lontano, lucean le dune gialle


Facevan  queste da  corona  al mare,
ma in secca più  non c’erano le  navi
come  già in viaggio  per  le case patrie         
e rimanevan delle prue gli scavi.

(Le navi erano scomparse, come se fossero già di ritorno verso la Grecia, e sulla sabbia  erano rimasti solo i profondi solchi lasciati dalle chiglie)
Ermo  il mio carro, e due cavalli forti
dei quattro, per mia mano liberati                  
avanzando avean i musi accorti                    
che verso me  dubbiosi eran voltati.

(Achille aveva due cavalli immortali Xanto e Balio, e due cavalli mortali. Solo i due animali prodigiosi erano rimasti, ed aspettavano che Achille  chiarisse i propri intendimenti)
“Grande Achille, supremo fra gli armati”
Sorse ad un tratto voce alle mie spalle
“Son fra coloro  all’Ade confinati;
e  per tua man  lasciai la dolce valle.


Fu Andromaca mia sposa,  e  madre amata
di un figlio che lasciai di poca etade,
Ettore son, spento  da mano armata               
che tregua  non conosce né pietade” 

(La mano di Achille, che non lascia scampo al nemico né sa  cosa voglia dire avere pietà).
Volsi la testa e là, su un grosso masso
di Priamo seduto il  figlio stava;
sulle possenti braccia era il riflesso
del dì la luce;  e  mentre me guardava


la sua ombra sul suolo  nereggiava.
Stava l’antico usbergo abbandonato,
e infilato ad un  ramo   dondolava,
a terra l’elmo ch’ora è  sotterrato.


Ermo lo scudo, da Efesto  forgiato
che ebbi da chi  a me diede la vita,
sulla soffice erba era adagiato
con bei ceselli di fattezza ardita.


Attorno al bordo c’era il grande mare
e tutti gli astri della volta eterna;
al centro due leoni ad artigliare
un toro che muovea  le  vane corna.


Lo spirto  che di carne parea fatto
a parlare iniziò con voce franca
a lui mi volsi  con il cuor contratto
e la man destra nella mano manca.


(La mano sinistra è posata sulla mano destra, quella che ha scagliato la lancia mortale, quasi a volerla nascondere)

“Ultima volta di parlar m’è dato
perché il futuro più non porti morte:
forse potresti tramutare il fato,          
ed alla pace spalancar le porte”         

(Forse proprio tu, il più forte ed ascoltato dei guerrieri potresti essere colui che porterà la pace)
Rivolsi allora a lui verbo pacato
qual si conviene ad anima ormai spenta
che lo spirito ancor è non placato
e l’anima dal mondo non s’assenta.


“Pari al corpo di Patroclo il tuo arse:
ma ora che son polvere le membra    
e per mare le ceneri fur  sparse,          come
perché tu vaghi ancor, anima d’ombra?

(Come mai tu, che ormai sei cenere, non hai avuto pace Patroclo ed ancora vaghi  fra i vivi?)
Ed egli a me, con occhio che non luce
“Dieci anni son trascorsi ormai di guerra
ma  ancora durerà il cimento truce
se accordo fra  le schiere non si serra.


Se degli Achivi sarà la vittoria
solo maceria resterà di Troia
e avrete gran tesoro e vasta gloria
e ritornare in patria sarà gioia;


ma se l’armi dei Teucri trionferanno
le fiamme delle navi andranno al cielo            
e  degli achei le spose piangeranno               
ma alfin si toglieranno il nero velo.

(Se vinceranno i Troiani, le spose degli Achei per
qualche tempo piangeranno, ma alla fine si consoleranno con altri uomini)
Volgendo il solo capo a lui risposi
“Dei popoli sconfitti  è triste il fato,
per  ciò   di guerra non si è mai vogliosi        
se grave  colpa  onor, n’abbia macchiato.

(La guerra non sarebbe mai giunta a Troia se l’onore dei Greci non fosse stato  violato con il rapimento  di Elena)
Sottratta al re di Sparta  fu la  sposa,
cui Venere oscurò la casta mente:                 
la schiera degli Achei fu tanto irosa              
che d’Ilo non doveva restar niente.           

(Fu Venere che, prescelta da Paride per l’assegnazione del pomo d’oro  di Eris , concesse a Paride l’amore della donna più bella del mondo,  Elena, dopo averne ottenebrato la mente)
Tuo padre convocò grande consiglio
mentr’io in tenda me ne stavo irato,
oro egli offriva  per placar l’orgoglio 
 perché di Sparta il re fosse quietato. 

(Priamo  tentò di  raggiungere la pace offrendo in cambio una montagna d’oro. Ma Diomede rifiutò questa condizione: i Troiani volevano la pace?
Ma Diomede negò la mano tesa:                   
che  fosse a Menelao resa la sposa!               
Ma  Paride negò ch’ella fia resa                    
ed anche la tua vita venne erosa.

iniziassero con il rendere  Elena a Menelao. Purtroppo Paride, tuo fratello, rifiutò quella condizione ed anche tu perdesti la vita).
“Come tu dici, il dolo fu nefasto,
ma vivo è mio fratello, e pur l’Atride:
ma a causa dell’onore e lor contrasto,           
agli  altri eroi la sorte non arride.       

(I due principali artefici della guerra, mio fratello e Menelao, sono ancora vivi, ed ora per una questione che riguarda loro due, chissà quanti altri eroi moriranno…
Questo destin, non far da te lontano              
che infine anche tu sarai fra questi,               
se questa guerra ch’arma la tua mano
distante dalla tua tenda non resti.

…e non pensare che questo nefasto destino non finisca per riguardare anche te, se la tua tenda continuerà a rimanere in questi lidi).
Volge il tempo mio ormai alla fine
e  voglio  a te  lasciare predizione:
ritornerà il gran re dal bianco crine
per  proposte di pace   far menzione:


fa che in vita giunga al tuo cospetto
e d’ira il cuore tuo  non sia  dimora
giudica tu, se quel che verrà detto
sia da  apprezzar, oppure non t’onora.


Cerca il Tidìde e contagli l’incontro,
fa lui capir quanto costò il diniego                  
e quanti bravi ancor costò lo scontro:
accetti la man tesa, questo prego.”     

(cerca Diomede, forse ti ascolterà: digli del nostro incontro fa a lui capire quante vite ancora costò il suo rifiuto delle condizioni di pace: accetti le nuove proposte di mio padre, è solo questo quello che vorrei).

Ciò appena detto si dissolse l’ombra
e pieno di rimorsi fu il risveglio.
Forse  timor di morte il mio ti sembra,           
ma vale serbar via,  se l’altra è meglio?”       

(Forse ti sembrerà che io abbia paura di morire: ma perchè ostinarsi a combattere, se esiste una soluzione migliore?)
Scuotendo il capo per mostrar diniego
Diomede ancor nei nappi versò il vino
che quella sera ebbe giusto impiego
mentre fra i due si decidea il destino.


“Tu forte amico troppo su mi poni,
che il mio voler, fra gli altri si confonde!
L’Atride siede al più alto dei troni
e più potere agli atti egli infonde”

(Tu sei tra i più forti guerrieri, e ciò che dici è ascoltato dai più forti eroi. Se tu parlerai di  pace, pace ci sarà)
“Tu degli achivi rappresenti il nerbo,
sei sempre avanti a trascinar le schiere          
gran peso fra chi vale ha il tuo verbo            
se pace dici, pace si può avere”


Diomede sospirò, il capo  chinando
coprendo le ginocchia con le mani
“Non per l’oro la guerra andai cercando,
fosse sol questo, partirei domani.


Orbato della sposa e dell’onore
fu Menelao per un divino inganno,
lui che ai Troiani  aperte avea le porte,
e quel che poi successe i Greci sanno.


Io sarei  il primo a volgere le navi
e ritornare ad abbracciar mia sposa;
ma fin che  i Teucri non torneran savi
la spada nella guaina non riposa.


Io come te  vorrei tender la mano:
se di Leda e Tindaro la figlia                         
arbitrio   avrà di scegliersi il sovrano             
da queste sponde toglierò la chiglia.  

(Diomede si riferisce ad Elena che ritiene  sia stata a scegliere Paride plagiata da Venere:ebbene, che la mente di Elena venga snebbiata, e scelga lei stessa se rimanere con Paride o tornare da Menelao.
Questo, Pelide, è il mio intendimento:           
se Priamo  tornerà in tua presenza                 
viver l’onor dovrà alto momento
che l’or da solo, in me non ha  accoglienza” 

se questo sarà fatto, io ritornerò in patria)


(per me l’oro di fronte all’onore, non ha valore)
S’erse il Pelìde nella sua possanza
che fra gli Achei nessuno gli era pari
“Ciò che hai detto fa luce alla speranza
Ch’io torni a Sciro a riveder miei cari”.


Si strinsero con presa franca il braccio
poi  Achille si diresse verso il  campo:
potea del dolce sonno aver l’abbraccio
or che forse alla guerra c’era scampo.


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