All’amico
parlo e non al guerriero,
a
chi oltre l’usbergo vede il cuore.
Morfeo
mi colse assorto nel pensiero
e
in volo giunsi a un campo tutto in fiore.
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Non
c’era Troia, ma città futura:
con
forti denti fino al cielo erti,
alte
ed invitte stavano le mura
ma torri e spalti erano deserti.
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Nessuno
era lassù, alcun d’attorno
alcun
nemico e niente mano tesa.
Eppure
il sol brillava in pieno giorno,
e
non sembrò minaccia lì in attesa.
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(Non si vedevano né nemici, nè amici)
(Non mi sentivo assolutamente in pericolo)
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Di
guardare alle porte io ebbi l’estro,
ma ristavano chiuse e su di esse
caro
ad Apollo luminoso un astro
parea
per sua natura che splendesse.
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Io
stavo privo d’armi e a nudo petto:
un
albero tarchiato alle mie spalle
aveva
strana chioma e buffo aspetto.
Di
lontano, lucean le dune gialle
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Facevan queste da
corona al mare,
ma
in secca più non c’erano le navi
come già in viaggio per
le case patrie
e
rimanevan delle prue gli scavi.
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(Le navi erano scomparse, come se fossero già di ritorno
verso la Grecia, e sulla sabbia erano
rimasti solo i profondi solchi lasciati dalle chiglie)
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Ermo il mio carro, e due cavalli forti
dei
quattro, per mia mano liberati
avanzando
avean i musi accorti
che
verso me dubbiosi eran voltati.
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(Achille aveva due cavalli immortali Xanto e Balio, e due
cavalli mortali. Solo i due animali prodigiosi erano rimasti, ed aspettavano
che Achille chiarisse i propri
intendimenti)
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“Grande
Achille, supremo fra gli armati”
Sorse
ad un tratto voce alle mie spalle
“Son
fra coloro all’Ade confinati;
e per tua man
lasciai la dolce valle.
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Fu
Andromaca mia sposa, e madre amata
di
un figlio che lasciai di poca etade,
Ettore
son, spento da mano armata
che
tregua non conosce né pietade”
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(La mano di Achille, che non lascia scampo al nemico né
sa cosa voglia dire avere pietà).
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Volsi
la testa e là, su un grosso masso
di
Priamo seduto il figlio stava;
sulle
possenti braccia era il riflesso
del
dì la luce; e mentre me guardava
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la
sua ombra sul suolo nereggiava.
Stava
l’antico usbergo abbandonato,
e
infilato ad un ramo dondolava,
a
terra l’elmo ch’ora è sotterrato.
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Ermo
lo scudo, da Efesto forgiato
che
ebbi da chi a me diede la vita,
sulla
soffice erba era adagiato
con
bei ceselli di fattezza ardita.
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Attorno
al bordo c’era il grande mare
e
tutti gli astri della volta eterna;
al
centro due leoni ad artigliare
un
toro che muovea le vane corna.
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Lo
spirto che di carne parea fatto
a
parlare iniziò con voce franca
a
lui mi volsi con il cuor contratto
e
la man destra nella mano manca.
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(La mano sinistra è posata sulla mano destra, quella che
ha scagliato la lancia mortale, quasi a volerla nascondere)
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“Ultima
volta di parlar m’è dato
perché
il futuro più non porti morte:
forse
potresti tramutare il fato,
ed
alla pace spalancar le porte”
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(Forse proprio tu, il più forte ed ascoltato dei guerrieri
potresti essere colui che porterà la pace)
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Rivolsi
allora a lui verbo pacato
qual
si conviene ad anima ormai spenta
che
lo spirito ancor è non placato
e
l’anima dal mondo non s’assenta.
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“Pari
al corpo di Patroclo il tuo arse:
ma
ora che son polvere le membra
e
per mare le ceneri fur sparse, come
perché
tu vaghi ancor, anima d’ombra?
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(Come mai tu, che ormai sei cenere, non hai avuto pace
Patroclo ed ancora vaghi fra i vivi?)
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Ed
egli a me, con occhio che non luce
“Dieci
anni son trascorsi ormai di guerra
ma ancora durerà il cimento truce
se
accordo fra le schiere non si serra.
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Se
degli Achivi sarà la vittoria
solo
maceria resterà di Troia
e
avrete gran tesoro e vasta gloria
e
ritornare in patria sarà gioia;
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ma
se l’armi dei Teucri trionferanno
le
fiamme delle navi andranno al cielo
e degli achei
le spose piangeranno
ma
alfin si toglieranno il nero velo.
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(Se vinceranno i Troiani, le spose degli Achei per
qualche tempo piangeranno, ma alla fine si consoleranno
con altri uomini)
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Volgendo
il solo capo a lui risposi
“Dei
popoli sconfitti è triste il fato,
per ciò di guerra non si è mai vogliosi
se
grave colpa onor, n’abbia macchiato.
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(La guerra non sarebbe mai giunta a Troia se l’onore dei
Greci non fosse stato violato con il
rapimento di Elena)
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Sottratta
al re di Sparta fu la sposa,
cui Venere oscurò la casta mente:
la schiera degli Achei fu tanto irosa
che d’Ilo non doveva restar niente.
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(Fu Venere che, prescelta da Paride per l’assegnazione del
pomo d’oro di Eris , concesse a Paride
l’amore della donna più bella del mondo,
Elena, dopo averne ottenebrato la mente)
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Tuo
padre convocò grande consiglio
mentr’io
in tenda me ne stavo irato,
oro
egli offriva per placar l’orgoglio
perché di Sparta il re fosse quietato.
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(Priamo tentò
di raggiungere la pace offrendo in
cambio una montagna d’oro. Ma Diomede rifiutò questa condizione: i Troiani
volevano la pace?
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Ma
Diomede negò la mano tesa:
che fosse a Menelao resa la sposa!
Ma Paride negò ch’ella fia resa
ed
anche la tua vita venne erosa.
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iniziassero con il rendere
Elena a Menelao. Purtroppo Paride, tuo fratello, rifiutò quella
condizione ed anche tu perdesti la vita).
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“Come
tu dici, il dolo fu nefasto,
ma
vivo è mio fratello, e pur l’Atride:
ma
a causa dell’onore e lor contrasto,
agli altri eroi la sorte non arride.
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(I due principali artefici della guerra, mio fratello e
Menelao, sono ancora vivi, ed ora per una questione che riguarda loro due,
chissà quanti altri eroi moriranno…
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Questo
destin, non far da te lontano
che
infine anche tu sarai fra questi,
se
questa guerra ch’arma la tua mano
distante
dalla tua tenda non resti.
|
…e non pensare che questo nefasto destino non finisca per
riguardare anche te, se la tua tenda continuerà a rimanere in questi lidi).
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Volge
il tempo mio ormai alla fine
e voglio
a te lasciare predizione:
ritornerà
il gran re dal bianco crine
per proposte di pace far menzione:
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fa
che in vita giunga al tuo cospetto
e
d’ira il cuore tuo non sia dimora
giudica
tu, se quel che verrà detto
sia
da apprezzar, oppure non t’onora.
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Cerca il Tidìde e contagli l’incontro,
fa lui capir quanto costò il diniego
e
quanti bravi ancor costò lo scontro:
accetti
la man tesa, questo prego.”
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(cerca Diomede, forse ti ascolterà: digli del nostro
incontro fa a lui capire quante vite ancora costò il suo rifiuto delle
condizioni di pace: accetti le nuove proposte di mio padre, è solo questo
quello che vorrei).
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Ciò
appena detto si dissolse l’ombra
e
pieno di rimorsi fu il risveglio.
Forse timor
di morte il mio ti sembra,
ma vale serbar via,
se l’altra è meglio?”
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(Forse ti sembrerà che io abbia paura di morire: ma perchè
ostinarsi a combattere, se esiste una soluzione migliore?)
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Scuotendo
il capo per mostrar diniego
Diomede
ancor nei nappi versò il vino
che
quella sera ebbe giusto impiego
mentre
fra i due si decidea il destino.
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“Tu
forte amico troppo su mi poni,
che
il mio voler, fra gli altri si confonde!
L’Atride
siede al più alto dei troni
e
più potere agli atti egli infonde”
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(Tu sei tra i più forti guerrieri, e ciò che dici è
ascoltato dai più forti eroi. Se tu parlerai di pace, pace ci sarà)
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“Tu
degli achivi rappresenti il nerbo,
sei
sempre avanti a trascinar le schiere
gran
peso fra chi vale ha il tuo verbo
se
pace dici, pace si può avere”
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Diomede
sospirò, il capo chinando
coprendo
le ginocchia con le mani
“Non
per l’oro la guerra andai cercando,
fosse
sol questo, partirei domani.
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Orbato
della sposa e dell’onore
fu
Menelao per un divino inganno,
lui
che ai Troiani aperte avea le porte,
e
quel che poi successe i Greci sanno.
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Io
sarei il primo a volgere le navi
e
ritornare ad abbracciar mia sposa;
ma
fin che i Teucri non torneran savi
la
spada nella guaina non riposa.
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|
Io
come te vorrei tender la mano:
se
di Leda e Tindaro la figlia
arbitrio avrà di scegliersi il sovrano
da
queste sponde toglierò la chiglia.
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(Diomede si riferisce ad Elena che ritiene sia stata a scegliere Paride plagiata da
Venere:ebbene, che la mente di Elena venga snebbiata, e scelga lei stessa se
rimanere con Paride o tornare da Menelao.
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Questo,
Pelide, è il mio intendimento:
se
Priamo tornerà in tua presenza
viver
l’onor dovrà alto momento
che
l’or da solo, in me non ha
accoglienza”
|
se questo sarà fatto, io ritornerò in patria)
(per me l’oro di fronte all’onore, non ha valore)
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S’erse
il Pelìde nella sua possanza
che
fra gli Achei nessuno gli era pari
“Ciò
che hai detto fa luce alla speranza
Ch’io
torni a Sciro a riveder miei cari”.
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|
Si
strinsero con presa franca il braccio
poi Achille si diresse verso il campo:
potea
del dolce sonno aver l’abbraccio
or
che forse alla guerra c’era scampo.
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lunedì 3 ottobre 2011
IL SOGNO DI ACHILLE
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