lunedì 3 ottobre 2011

Diomedea - ode in endecasillabi


Priamo se ne è appena andato via con il corpo di Ettore, ed Achille resta assorto in solitudine  davanti al fuoco acceso nei pressi della sua tenda……


Seduto accanto al fuoco del bivacco
stava Achille, ma volgeva lo sguardo
per quel sentier ove il sovrano biacco  
del figlio tratto  avea   corpo gagliardo.

(canuto, dai capelli bianchi)
Torna  alla mente l’occhio assai velato
del grande Ettorre cui fuggia  la vita
dall’offesa mortal, del collo a lato,
aperta dalla punta assai incrudita.

(la lancia di Achille aveva ferito mortalmente Ettore alla base del collo)


S’alza l’eroe con movimenti accorti
e s’appressa guardingo al cocchio antico
afferrano l’usbergo le man forti
che il teucro non salvò, né il caro amico. 

(La corazza non salvò né Ettore né Patroclo)
“Sei scorza maledetta, crosta imbelle
dei corpi degli eroi a te affidati
sol io rimango a rimirar le stelle
che gli altri all’ade ormai son consegnati.


Prima  che lama dalla morte mossa
torni dei forti l’anime a falciare,
ancora degli eroi di sangue rossa
sulle  mie spalle più dovrai brillare.

(Tu, ancora sporca di sangue degli eroi, non tornerai mai più a brillare sulle mie spalle).
Ma ora ascolta, infida compagna
a tua cagion più uomo muoia in guerra
e poiché d’alcun eroe sei più degna
farò che il  giorno non ti trovi in terra”


Così dicendo e con gran cipiglio,
a una gran pala  di bruno metallo
con braccia poderose diè di piglio
e gran buca  scavò nel suolo giallo.


Assicurato  poi d’esser da solo
ratto l’armatura pose nel fosso,
con  terra e sassi ricompose il suolo
tanto che all’occhio nulla parea smosso


Il Tidìde  che s’aggirava  accorto
e lungo il lido andava silenzioso
vide il Pelìde in opre strane assorto
e nell’ombra ristette pensieroso.


Poscia che Achille in tenda fu rientrato
volse le spalle per tornar nei pressi
dove d’Argo il naviglio era invasato.  
Saggiò i cavi laddove son connessi    


le funi, i rulli, la bontà del legno.
S’assicurò deste le  sentinelle
che di cedere a Orfeo, non desser segno
parve rapito infine dalle  stelle.

(Tornò laddove erano state tirate in secca le navi provenienti da Argo, di cui egli era  sovrano)
Brillava Ilo sull’erma collina
ma non per rischiarare ardea la fiamma,       
ma estremo atto per  fatal rovina                   
del  Priamide ch’alto tenea lo stemma.          

(La fiamma era stata accesa per la veglia funebre di Ettore, figlio di Priamo,  che teneva alto l’onore della propria  stirpe)
Le torce a mille a mille facean luce
per rischiarare le provate spoglie
del più forte guerrier,  dei Teucri il duce
e  per Achille, or piangea la moglie.


Rifletteva l’eroe su quel tormento
quando alle spalle colse una  presenza
l’elsa strinse la mano in un momento
l’agir corse davanti alla coscienza.    
(Diomede istintivamente si avvide di una presenza estranea, l’istinto precedette  il pensiero, e l’eroe  era già pronto a difendersi)
Ma una pacata e assai profonda voce
gli fermò il ferro e gli destò  stupore:
non è chi  s’appressava uno che  nuoce,       
ma chi  l’armi celava con livore.

(L’uomo non era un nemico del Tidìde, ma Achille cioè colui, che poco prima stava sotterrando le armi con rabbia)
“Achille” ei nomò senza voltarsi                   
facendo sì che  lama quiete avesse,               
e il viso nel chiaror dei legni arsi                   
un rapido sorriso si concesse.

(Diomede, senza distogliere  gli occhi dal fuoco,  fece ricadere l’arma nel fodero, e sul suo duro volto apparve un fugace sorriso)
“Come ombra nell’ombra qui sei apparso
quasi come se tu mi fossi opposto;
ma ora  perdona  il mio fare scarso
e dì  perché giungesti  in questo posto”


Nel buio balenò l’occhio brillante
del gran Pelide dal piede saettante
come d’incanto gli si pose a fronte
mesto appariva pur nel  corpo aitante.


“Quando l’usbergo mio celai fremente,
di te, Diomede, avvertii le mosse                  
timore alcuno m’adombrò  la  mente             
che tale il mio segreto più non fosse

(Achille si era accorto della presenza di Diomede mentre sotterrava la corazza, ma non fu mai sfiorato dal dubbio che il Tidìde rivelasse il suo segreto).
Preso io sarei  stato dal  demonio
se al posto tuo ci fosse stato Ulisse               
O Agamennon, o il forte Telamonio:             
ma  del retto tuo agir  sempre si disse.

(Se si fosse trattato di un altro uomo, pure  se grande eroe, mi sarei adirato, ma è risaputo che tu sei una persona di cui ci si può fidare).
Al che il Tidìde con sorriso franco
rispose al mirmidon ch’ avea di fronte
“Prendi uno scranno, sarai certo stanco,
e vin speziato di piacer sia fonte ”.


L’eroe di Calidon, così dicendo         
un otre sollevò poco distante 
e dopo un solo istante sorridendo
di vino un nappo porse  accattivante.

(Argo era una città della Calidonia, una regione greca)

 (Nappo = bicchiere)
Achille l’accettò con sguardo grato
ancor per la fatica rilucente,
bevve più volte, e ognor fu ricolmato
ma non fu ottenebrata la sua mente

(Sebbene Achille avesse bevuto molto vino, il suo cervello rimase lucido)
“Dicon che a fronte a me tu sia secondo                   
ma cotal cosa non la credo affatto.               
Io ti prezzo  a me pari e non nascondo
di ritenerti erede mio di fatto”

(Dicono, o Diomede, che quanto a forza io ti sia superiore, ma non penso che sia così)
“Mi sfugge forse il senso del  tuo dire ?”      
Disse Diomede  il ciglio sollevando              
“Qual fato strano   tu mi vuoi predire
se  ora il mio primato stai vantando?”


“Tu  mi sei stato avverso a buon ragione,
quando riottoso stavo alle mie navi,              
ma non solo l’Atride fu cagione                    
se la mia spada al fianco non contavi.

(Diomede aveva tuonato contro Achille per via del suo gran rifiuto a combattere: ma ciò  non fu dovuto solamente al livore che l’eroe nutrì contro Agamennone)
Calcante rivelò sorte  nefasta
se il prode Ettorre avessi spinto all’Ade,
e or  che la sua vita spense l’asta                   
del dolce viver mio, il tempo scade.  

(Calcante predisse che sarei morto se avessi ucciso Ettore, ed ora che la mia lancia lo ha privato della vita, non mi resta molto tempo da vivere)
Di nuovo il bel Diomede porse il bere
che della vita stempera l’amaro
“Se da mortal fonte venne  il sapere             
ciò che ti rivelò non tener caro          

(La predizione viene da un semplice essere umano per cui non devi tenerne gran conto…
che leggere le trame del destino         
forse agli stessi numi non è dato:         
se Troia, come spero avrà declino,   
schiera alcuni numi avran sbagliato.

…perché forse neanche gli dèi possono leggere nel destino, infatti molto di loro credono che Troia sopravviverà, e se ciò non accadrà, alcuni di loro avranno sbagliato schieramento).
Mesto sorrise Achille a quel parlare
e andava sul Tidìde  riflettendo:
la scura nube al suo apparir scompare           
e il cuore  già si va rasserenando.

(Achille considerò come la sola vicinanza  di Diomede fosse sufficiente a rasserenarlo).
“Il saperti al mio fianco mi dà forza,
ch’ogni finir del giorno di battaglia
del duro cuore mio, cade la scorza
e chi mi crede ferro, forse  sbaglia.


Alla mia patria anelo ritornare
non  di lasciar le spoglie a questi rivi:
la guerra quindi si dovrà placare                   
prima che morte nella pugna arrivi”  

(Achille non vorrebbe morire, ma la sua speranza di sopravvivere  è  che la guerra termini al  più presto prima che la morte lo ghermisca in battaglia)
Il Tidìde, ch’era rimasto attento
la mano allor posò sulla sua spalla:
vedeva nel Pelìde gran tormento                   
e ciò che lo crucciava, volle a galla.              

(Diomede vuole che Achille si apra con lui, che tiri fuori ciò che veramente lo rode).
“ Tu sei bastion che porge il  petto agli urti
delle orribili schiere  ai Greci avverse,
nessun mortale potrà mai domarti
né timore di sorti assai perverse.


Ma c’è qualcosa che nel cuor  ti rode
e certamente mi vorresti dire:
bocca non dice ciò che orecchio ode
e mai  da me segreto farò  uscire”.


Questo parlare dell’amico d’arme
su Achille ritornar  fece il sereno
come chi ascolta un alato carme
e di fiducia al viver  torna pieno.


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